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Legge 663/86 (c.d. Gozzini)

LEGGE 10 ottobre 1986, n. 663

(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 16 ottobre 1986 n. 241- S.O.)

MODIFICHE ALLA LEGGE SULL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO E SULLA ESECUZIONE DELLE MISURE PRIVATIVE E LIMITATIVE DELLA LIBERTA'.

Art. 1.

1.                  Dopo l'art. 14 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:

"Art. 14-bis. (Regime di sorveglianza particolare).

1.                             Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli internati e gli imputati: a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti; b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.

2.                             Il regime di cui al precedente comma 1 è disposto con provvedimento motivato dell'amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti previsti dal quarto comma dell'art. 80.

3.                             Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza particolare è disposto sentita anche l'autorità giudiziaria che procede.

4.                             In caso di necessità ed urgenza l'amministrazione può disporre in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine l'amministrazione, acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci giorni decorsi i quali, senza che sia intervenuta la decisione, il provvedimento provvisorio decade.

5.                             Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare, fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli internati e gli imputati, sulla base di precedenti comportamenti penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti, indipendentemente dalla natura dell'imputazione, nello stato di libertà. L'autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua conoscenza all'amministrazione penitenziaria che decide sull'adozione dei provvedimenti di sua competenza.

6.                             Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai fini dell'esercizio del suo potere di vigilanza".

Art. 2.

1.                  Dopo l'art. 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dal precedente art. 1 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art. 14-ter. (Reclamo).

1.                             Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende l'esecuzione del provvedimento.

2.                             Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo.

3.                             Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e del pubblico ministero. L'interessato e l'amministrazione penitenziaria possono presentare memorie.

4.                             Per quanto non diversamente disposto si applicano le disposizioni del capo II-bis del titolo II".

Art. 3.

1.                  Dopo l'art. 14-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dal precedente art. 2 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art. 14-quater. (Contenuti del regime di sorveglianza particolare).

1.                             Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni strettamente necessarie per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza, all'esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dall'ordinamento penitenziario.

2.                             L'amministrazione penitenziaria può adottare il visto di controllo sulla corrispondenza, previa autorizzazione motivata dell'autorità giudiziaria competente.

3.                             Le restrizioni di cui ai commi precedenti sono motivatamente stabilite nel provvedimento che dispone il regime di sorveglianza particolare.

4.                             In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l'igiene e le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il possesso, l'acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi dal regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per la sicurezza; la lettura di libri e periodici; le pratiche di culto; l'uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza all'aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto dall'art. 10; i colloqui con i difensori, nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.

5.                             Se il regime di sorveglianza particolare non è attuabile nell'istituto ove il detenuto o l'internato si trova, l'amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento motivato, il trasferimento in altro istituto idoneo, con il minimo pregiudizio possibile per la difesa e per i familiari, dandone immediato avviso al magistrato di sorveglianza. Questi riferisce al Ministro in ordine ad eventuali casi di infondatezza dei motivi posti a base del trasferimento".

Art. 4.

1.                  L'ottavo comma dell'art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 2 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente: "Per gli imputati i permessi di colloquio fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, la sottoposizione al visto di controllo sulla corrispondenza e le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza dell'autorità giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'art. 11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore dell'istituto".

Art. 5.

1.                  Il sesto comma dell'art. 20 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dai seguenti: "Ai fini dell'assegnazione dei soggetti al lavoro si deve tener conto dei loro desideri ed attitudini nonché delle condizioni economiche della famiglia. Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale, possono, previa autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia, vendere prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei prezzi praticati per prodotti corrispondenti nel mercato all'ingrosso della zona in cui è situato l'istituto".

Art. 6.

1.                  L'art. 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente: "Art. 21. (Lavoro all'esterno).

1.                             I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'art. 15.

2.                             I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.

3.                             Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell'istituto a cui il detenuto o l'internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale.

4.                             Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza".

 

Art. 7.

1.                  L'art. 22 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:

"Art. 22. (Determinazione delle mercedi).

1.                             Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A tal fine è costituita una commissione composta dal direttore generale degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede, dal direttore dell'ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da un rappresentante del Ministero del tesoro, da un rappresentante del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale.

2.                             L'ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena funge da segretario della commissione.

3.                             La medesima commissione stabilisce il trattamento economico dei tirocinanti.

4.                             La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d'obbligo o delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli istituti penitenziari, durante l'orario di lavoro ordinario".

Art. 8.

1.                  Nel quarto comma dell'art. 26 della legge 26 luglio 1975, n. 354, la parola: "facoltà" è sostituita con la seguente: "diritto".

Art. 9.

1.                  Dopo l'art. 30-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dall'art. 2 della legge 20 luglio 1977, n. 450, è inserito il seguente:

"Art. 30-ter. (Permessi premio).

1.                             Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano di particolare pericolosità sociale, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell'istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione;

2.                             Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.

3.                             L'esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali collaborazione con gli operatori sociali del territorio.

4.                              

5.                             La concessione dei permessi è ammessa: a) nei confronti dei condannati all'arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all'arresto; b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena ovvero di dieci anni di essa nei casi di condanna all'ergastolo.

6.                             Nei confronti dei soggetti che durante l'espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto.

7.                             Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell'art. 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo.

8.                             Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all'art. 30-bis.

9.                             La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali".

Art. 10.

1.                  Dopo l'art. 41 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:

"Art. 41-bis. (Situazioni di emergenza).

1.                             In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto".

2.                             L'art. 90 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è conseguentemente abrogato.

Art. 11.

1.                  L'art. 47 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 4 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, e dall'art. 7 della legge 13 settembre 1982, n. 646, nonché dall'art. 4-bis del decreto-legge 22 aprile 1985, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 297, è sostituito dal seguente:

"Art. 47. (Affidamento in prova al servizio sociale).

1.                             Si ha la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare.

2.                             Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati.

3.                             L'affidamento in prova al servizio sociale può essere disposto senza procedere alla osservazione in istituto quando il condannato, dopo un periodo di custodia cautelare, ha goduto di un periodo di libertà serbando comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma 2. L'istanza è presentata al tribunale di sorveglianza del luogo in cui ha sede l'organo del pubblico ministero o il pretore investito dell'esecuzione.

4.                             Se l'istanza di cui al precedente comma 3 è proposta prima dell'emissione o dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione, è presentata al pubblico ministero o al pretore, il quale, se non osta il limite di pena di cui al comma 1, sospende l'emissione o l'esecuzione fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, al quale trasmette immediatamente gli atti. Il tribunale di sorveglianza decide entro quarantacinque giorni dalla presentazione dell'istanza.

5.                             All'atto dell'affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro.

6.                             Con lo stesso provvedimento può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati.

7.                             Nel verbale deve anche stabilirsi che l'affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare.

8.                             Nel corso dell'affidamento le prescrizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza.

9.                             Il servizio sociale controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.

10.                         Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto.

11.                         L'affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.

12.                         L'esito positivo del periodo di prova estingue la pena e ogni altro effetto penale".

Art. 12.

1.                  L'art. 47-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dall'art. 4-ter del decreto-legge 22 aprile 1985, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 297, è sostituito dal seguente:

"Art. 47-bis. (Affidamento in prova in casi particolari).

1.                             Se la pena detentiva, inflitta entro il limite di cui al comma 1 dell'art. 47, deve essere eseguita nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, l'interessato può chiedere in ogni momento di essere affidato in prova al servizio sociale per proseguire o intraprendere l'attività terapeutica sulla base di un programma da lui concordato con una unità sanitaria locale o con uno degli enti, associazioni, cooperative o privati di cui all'art. 1-bis del decreto-legge 22 aprile 1985, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1985, n. 297. Alla domanda deve essere allegata certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza e la idoneità, ai fini del recupero del condannato, del programma concordato.

2.                             Si applica la procedura di cui al comma 4 dell'art. 47 anche se la domanda è presentata dopo che l'ordine di carcerazione è stato eseguito. In tal caso il pubblico ministero o il pretore ordina la scarcerazione del condannato.

3.                             Il tribunale di sorveglianza, nominato un difensore al condannato che ne sia privo, fissa senza indugio la data della trattazione, dandone avviso al richiedente, al difensore e al pubblico ministero almeno cinque giorni prima. Se non è possibile effettuare la notifica dell'avviso al condannato nel domicilio indicato nella richiesta e lo stesso non compare all'udienza, il tribunale di sorveglianza dichiara inammissibile la richiesta.

4.                             Ai fini della decisione, il tribunale di sorveglianza può anche acquisire copia degli atti del procedimento e disporre gli opportuni accertamenti in ordine al programma terapeutico concordato, deve altresì accertare che lo stato di tossicodipendenza o alcooldipendenza o l'esecuzione del programma di recupero non siano preordinati al conseguimento del beneficio.

5.                             Dell'ordinanza che conclude il procedimento è data immediata comunicazione al pubblico ministero o al pretore competente per l'esecuzione, il quale, se l'affidamento non è disposto, emette ordine di carcerazione.

6.                             Se il tribunale di sorveglianza dispone l'affidamento, tra le prescrizioni impartite devono essere comprese quelle che determinano le modalità di esecuzione del programma. Sono altresì stabilite le prescrizioni e le forme di controllo per accertare che il tossicodipendente o l'alcooldipendente prosegue il programma di recupero. L'esecuzione della pena si considera iniziata dalla data del verbale di affidamento.

7.                             L'affidamento in prova al servizio sociale non può essere disposto, ai sensi del presente articolo, più di due volte.

8.                             Si applica, per quanto non diversamente stabilito, la disciplina prevista dalla presente legge per la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale".

Art. 13.

1.                  Dopo l'art. 47-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dal precedente art. 12 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art. 47-ter. (Detenzione domiciliare).

1.                             La pena della reclusione non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate, se non vi è stato affidamento in prova al servizio sociale, nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo pubblico di cura o di assistenza quando trattasi di: 1) donna incinta o che allatta la propria prole ovvero madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente; 2) persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; 3) persona di età superiore a 65 anni, se inabile anche parzialmente; 4) persona di età minore di 21 anni, per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia.

2.                             La detenzione domiciliare non può essere concessa quando è accertata l'attualità di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata o di una scelta di criminalità.

3.                             Se la condanna di cui al comma 1 deve essere eseguita nei confronti di persona che trovasi in stato di libertà o ha trascorso la custodia cautelare, o la parte terminale di essa, in regime di arresti domiciliari, si applica la procedura di cui al comma 4 dell'art. 47.

4.                             Il tribunale di sorveglianza, nel disporre la detenzione domiciliare, ne fissa le modalità secondo quanto stabilito dal secondo comma dell'art. 254-quater del codice di procedura penale. Si applica il quinto comma del medesimo articolo. Determina e impartisce altresì le disposizioni per gli interventi del servizio sociale. Tali prescrizioni e disposizioni possono essere modificate dal magistrato di sorveglianza competente per il luogo in cui si svolge la detenzione domiciliare.

5.                             Il condannato nei confronti del quale è disposta la detenzione domiciliare non è sottoposto al regime penitenziario previsto dalla presente legge e dal relativo regolamento di esecuzione. Nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento, la cura e l'assistenza medica del condannato che trovasi in detenzione domiciliare.

6.                             La detenzione domiciliare è revocata se il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appare incompatibile con la prosecuzione delle misure.

7.                             Deve essere inoltre revocata quando vengono a cessare le condizioni previste nel comma 1.

8.                             Il condannato che, essendo in stato di detenzione nella propria abitazione o in un altro dei luoghi indicati nel comma 1, se ne allontana, è punito ai sensi dell'art. 385 del codice penale. Si applica la disposizione dell'ultimo comma dello stesso articolo.

9.                             La denuncia per il delitto di cui al comma 8 importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca".

Art. 14.

1.                  L'art. 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:

"Art. 50. (Ammissione alla semilibertà).

1.                             Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell'arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale.

2.                             Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l'espiazione di almeno metà della pena. L'internato può esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall'art. 47, se i risultati dell'osservazione di cui al comma 2 dello stesso articolo non legittimano l'affidamento in prova al servizio sociale ma possono essere valutati favorevolmente in base ai criteri indicati dal comma 4 del presente articolo, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell'espiazione di almeno metà della pena.

3.                             Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva.

4.                             L'ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.

5.                             Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.

6.                             Nei casi previsti dal comma 1 la semilibertà può essere altresì disposta prima dell'inizio dell'espiazione della pena se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale; in tal caso si applica la disposizione di cui al comma 4 dell'art. 47.

7.                             Se l'ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà di cui all'ultimo comma dell'art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431".

Art. 15.

1.                  Dopo l'art. 51 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:

"Art. 51-bis. (Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà).

1.                             Quando durante l'attuazione dell'affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o del regime di semilibertà sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il direttore dell'istituto penitenziario o il direttore del centro di servizio sociale informa immediatamente il magistrato di sorveglianza. Se questi, tenuto conto del cumulo delle pene, rileva che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell'art. 47 o al comma 1 dell'art. 47-ter o ai primi tre commi dell'art. 50, dispone con decreto la prosecuzione provvisoria della misura in corso; in caso contrario dispone la sospensione della misura stessa. Il magistrato di sorveglianza trasmette quindi gli atti al tribunale di sorveglianza che deve decidere nel termine di venti giorni la prosecuzione o la cessazione della misura".

Art. 16.

1.                  Dopo l'art. 51-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dal precedente art. 15 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art. 51-ter. (Sospensione cautelativa delle misure alternative).

1.                             Se l'affidato in prova al servizio sociale o l'ammesso al regime di semilibertà o di detenzione domiciliare pone in essere comportamenti tali da determinare la revoca della misura, il magistrato di sorveglianza nella cui giurisdizione essa è in corso ne dispone con decreto motivato la provvisoria sospensione, ordinando l'accompagnamento del trasgressore in istituto. Trasmette quindi immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza per le decisioni di competenza. Il provvedimento di sospensione del magistrato di sorveglianza cessa di avere efficacia se la decisione del tribunale di sorveglianza non interviene entro trenta giorni dalla ricezione degli atti".

Art. 17.

1.                  Dopo l'art. 53 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è inserito il seguente:

"Art. 53-bis. (Computo del periodo di permesso o licenza).

1.                             Il tempo trascorso dal detenuto o dall'internato in permesso o licenza è computato a ogni effetto nella durata delle misure restrittive della libertà personale, salvi i casi di mancato rientro o di altri gravi comportamenti da cui risulta che il soggetto non si è dimostrato meritevole del beneficio. In questi casi sull'esclusione dal computo decide, con decreto motivato, il magistrato di sorveglianza.

2.                             Avverso il decreto può essere proposto dall'interessato reclamo al tribunale di sorveglianza secondo la procedura di cui all'art. 14-ter. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio".

Art. 18.

1.                  L'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 5 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:

"Art. 54. (Liberazione anticipata).

1.                             Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare.

2.                             La concessione del beneficio è comunicata all'ufficio del pubblico ministero presso la corte d'appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso.

3.                             La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca.

4.                             Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma 1 si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all'ergastolo".

Art. 19.

1.                  L'art. 56 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:

"Art. 56. (Remissione del debito).

Il debito per le spese di procedimento e di mantenimento è rimesso nei confronti dei condannati e degli internati che si trovano in disagiate condizioni economiche e hanno tenuto regolare condotta ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 30-ter. La relativa domanda può essere proposta fino a che non sia conclusa la procedura per il recupero delle spese".

Art. 20.

1.                  L'art. 68 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 7 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:

"Art. 68. (Uffici di sorveglianza).

1.                             Gli uffici di sorveglianza sono costituiti nelle sedi di cui alla tabella A allegata alla presente legge e hanno giurisdizione sulle circoscrizioni dei tribunali in essa indicati.

2.                             Ai suddetti uffici, per l'esercizio delle funzioni rispettivamente elencate negli articoli 69, 70 e 70-bis, sono assegnati magistrati di cassazione, di appello e di tribunale nonché personale del ruolo delle cancellerie e segreterie giudiziarie e personale esecutivo e subalterno.

3.                             Con decreto del presidente della Corte di appello può essere temporaneamente destinato a esercitare le funzioni del magistrato di sorveglianza mancante o impedito un giudice avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale.

4.                             I magistrati che esercitano funzioni di sorveglianza non debbono essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie".

Art. 21.

1.                  L'art. 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 8 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:

"Art. 69. (Funzioni e provvedimenti del magistrato di sorveglianza).

1.                             Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo.

2.                             Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti.

3.                             Sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali.

4.                             Provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell'art. 208 del codice penale, nonché all'applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza. Provvede altresì, con decreto motivato, in occasione dei provvedimenti anzidetti, alla eventuale revoca della dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per tendenza di cui agli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 del codice penale.

5.                             Approva, con decreto, il programma di trattamento di cui al terzo comma dell'art. 13, ovvero, se ravvisa in esso elementi che costituiscono violazione dei diritti del condannato o dell'internato, lo restituisce, con osservazioni, al fine di una nuova formulazione. Approva, con decreto, il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno. Impartisce, inoltre, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati.

6.                             Decide con ordinanza impugnabile soltanto per cassazione, secondo la procedura di cui all'art. 14-ter, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l'osservanza delle norme riguardanti: a) l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali; b) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa.

7.                             Provvede, con decreto motivato, sui permessi, sulle licenze ai detenuti semiliberi ed agli internati, e sulle modifiche relative all'affidamento in prova al servizio sociale e alla detenzione domiciliare.

8.                             Provvede, con ordinanza, sulla remissione del debito di cui all'art. 56 della presente legge e sui ricoveri di cui all'art. 148 del codice penale.

9.                             Esprime motivato parere sulle proposte e le istanze di grazia concernenti i detenuti. 10. Svolge, inoltre, tutte le altre funzioni attribuitegli dalla legge".

Art. 22.

1.                  L'art. 70 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 9 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:

"Art. 70. (Funzioni e provvedimenti del tribunale di sorveglianza).

1.                             In ciascun distretto di corte d'appello e in ciascuna circoscrizione territoriale di sezione distaccata di corte d'appello è costituito un tribunale di sorveglianza competente per l'affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà, la liberazione condizionale, la riduzione di pena per la liberazione anticipata, la revoca o cessazione dei suddetti benefici, il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione delle pene detentive ai sensi degli articoli 146 e 147, numeri 2) e 3), del codice penale, nonché per ogni altro provvedimento ad esso attribuito dalla legge.

2.                             Il tribunale di sorveglianza decide inoltre in sede di appello sui ricorsi avverso i provvedimenti di cui al comma 4 dell'art. 69. Il magistrato che ha emesso il provvedimento non fa parte del collegio.

3.                             Il tribunale è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione territoriale della sezione distaccata di corte d'appello e da esperti scelti fra le categorie indicate nel quarto comma dell'art. 80, nonché fra docenti di scienze criminalistiche.

4.                             Gli esperti effettivi e supplenti sono nominati dal Consiglio superiore della magistratura in numero adeguato alle necessità del servizio presso ogni tribunale per periodi triennali rinnovabili.

5.                             I provvedimenti del tribunale sono adottati da un collegio composto dal presidente o, in sua assenza o impedimento, dal magistrato di sorveglianza che lo segue nell'ordine delle funzioni giudiziarie e, a parità di funzioni, nell'anzianità; da un magistrato di sorveglianza e da due fra gli esperti di cui al precedente comma 4.

6.                             Uno dei due magistrati ordinari deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato o l'internato in ordine alla cui posizione si deve provvedere.

7.                             La composizione dei collegi giudicanti è annualmente determinata secondo le disposizioni dell'ordinamento giudiziario.

8.                             Le decisioni del tribunale sono emesse con ordinanza in camera di consiglio; in caso di parità di voti prevale il voto del presidente.

9.                             Agli esperti componenti del tribunale è riservato il trattamento economico assegnato agli esperti di cui al quarto comma dell'art. 80 operanti negli istituti di prevenzione e di pena".

Art. 23.

1.                  Dopo l'art. 70 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall'art. 22 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art. 70-bis. (Presidente del tribunale di sorveglianza).

1.                             Le funzioni di presidente del tribunale di sorveglianza sono conferite a un magistrato di cassazione o, per i tribunali istituiti nelle sezioni distaccate di corte d'appello, a un magistrato d'appello.

2.                             Il presidente del tribunale, fermo l'espletamento delle funzioni di magistrato di sorveglianza nell'ufficio di appartenenza, provvede: a) a dirigere e ad organizzare le attività del tribunale di sorveglianza; b) a coordinare, in via organizzativa, in funzione del disbrigo degli affari di competenza del tribunale, l'attività degli uffici di sorveglianza compresi nella giurisdizione del tribunale medesimo; c) a disporre le applicazioni dei magistrati e del personale ausiliario nell'ambito dei vari uffici di sorveglianza nei casi di assenza, impedimento o urgenti necessità di servizio; d) a richiedere al presidente della corte di appello l'emanazione dei provvedimenti di cui al comma 3 dell'art. 68; e) a proporre al Consiglio superiore della magistratura la nomina degli esperti effettivi o supplenti componenti del tribunale e a compilare le tabelle per gli emolumenti loro spettanti; f) a svolgere tutte le altre attività a lui riservate dalla legge e dai regolamenti".

Art. 24.

1.                  Dopo l'art. 70-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dall'art. 23 della presente legge, è inserito il seguente:

"Art. 70-ter. (Nuove denominazioni).

1.                             Le denominazioni "sezione di sorveglianza" e "giudice di sorveglianza" di cui alle leggi vigenti sono rispettivamente sostituite dalle seguenti: "tribunale di sorveglianza" e "magistrato di sorveglianza".

2.                             Per il funzionamento del tribunale di sorveglianza nonché degli uffici di sorveglianza di cui all'art. 68 si provvede con assegnazioni dirette di fondi e di attrezzature mediante prelievo delle somme necessarie dagli appositi capitoli del bilancio di previsione del Ministero di grazia e giustizia".

Art. 25.

1.                  L'art. 71 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall'art. 11 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:

"Art. 71. (Norme generali).

1.                             Per l'adozione dei provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza espressamente indicati nei commi 1 e 2 dell'art. 70, nonché dei provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di remissione del debito, di ricoveri di cui all'art. 148 del codice penale, di applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca anche anticipata delle misure di sicurezza e di quelli relativi all'accertamento dell'identità personale ai fini delle dette misure, si applica il procedimento di cui ai commi e agli articoli seguenti.

2.                             Il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza, a seguito di richiesta o di proposta ovvero di ufficio, invita l'interessato ad esercitare la facoltà di nominare un difensore. Se l'interessato non vi provvede entro cinque giorni dalla comunicazione dell'invito, il difensore è nominato di ufficio dal presidente del tribunale o dal magistrato di sorveglianza. Successivamente il presidente del tribunale o il magistrato di sorveglianza fissa con decreto il giorno della trattazione e ne fa comunicare avviso al pubblico ministero, all'interessato e al difensore almeno cinque giorni prima di quello stabilito.

3.                             La competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull'istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l'interessato all'atto della richiesta o della proposta o all'inizio d'ufficio del procedimento.

4.                             Se l'interessato non è detenuto o internato, la competenza spetta al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione nel luogo in cui l'interessato ha la residenza o il domicilio. Nel caso in cui non sia possibile determinare la competenza secondo il criterio sopra indicato, si applica la disposizione del secondo comma dell'art. 635 del codice di procedura penale.

5.                             Le disposizioni contenute nel capo I del titolo V del libro IV del codice di procedura penale sono applicabili in quanto non diversamente disposto dalla presente legge. L'art. 641 del codice di procedura penale resta in vigore limitatamente ai casi di cui all'art. 212 dello stesso codice".

Art. 26.

1.                  L'art. 71-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dall'art. 11 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:

"Art. 71-ter. (Ricorso per cassazione).

1.                             Avverso le ordinanze del tribunale di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza, il pubblico ministero, l'interessato e, nei casi di cui agli articoli 14-ter e 69, comma 6, l'amministrazione penitenziaria, possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge entro dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento. Si applicano le disposizioni del terzo comma dell'art. 640 del codice di procedura penale. Si applica, altresì, l'ultimo comma dell'art. 631 del codice di procedura penale".

Art. 27.

1.                  L'art. 71-quinquies della legge 26 luglio 1975, n. 354, aggiunto dall'art. 11 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è abrogato.

Art. 28.

1.                  Il terzo comma dell'art. 176 del codice penale è sostituito dal seguente: "Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena".

Art. 29.

1.                  Sono abrogati i primi tre commi dell'art. 23 della legge 26 luglio 1975, n. 354, il terzo comma dell'art. 48 della stessa legge n. 354, nonché la legge 12 febbraio 1975, n. 6.

Art. 30.

1.                  La detrazione di pena prevista dall'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall'art. 18 della presente legge, si applica con provvedimento del tribunale di sorveglianza anche ai semestri di pena scontata successivi alla data del 31 agosto 1981 nonché al semestre in corso a quella data, nella misura di 45 giorni, o in quella integrativa di 25 giorni nei casi in cui sono state già concesse le detrazioni di pena secondo le norme preesistenti, semprechè attualmente e con riferimento ai semestri suddetti risulti provata la partecipazione del condannato all'opera di rieducazione secondo i criteri indicati nell'art. 94 del regolamento di esecuzione della citata legge 26 luglio 1975, n. 354, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431.

Art. 31.

1.                  L'art. 204 del codice penale è abrogato.

2.                  Tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa.

Art. 32.

1.                  Entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro di grazia e giustizia, verranno apportate le necessarie modifiche e integrazioni al regolamento di esecuzione della legge 26 luglio 1975, n. 354, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431.

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