La detenzione amministrativa dopo la Commissione De Mistura, meltingpot.org, 19/02/07

La detenzione amministrativa dopo la Commissione De Mistura

di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo

Le conclusioni della Commissione De Mistura si collocano nell’ottica di una razionalizzazione delle politiche migratorie italiane, dopo il fallimento dell’apparato repressivo basato sulla detenzione amministrativa, istituto che “ha attraversato due legislature”. Ormai gli strumenti di contrasto dell’immigrazione clandestina si vanno “esternalizzando“, con le operazioni di pattugliamento congiunto e di respingimento a mare finanziate dal programma europeo FONTEX e con la stipula di nuovi accordi di riammissione, da ultimo nel gennaio scorso, con l’Egitto. E noto a tutti, peraltro, che l’Italia ha finanziato (o sta finanziando ancora?)la gestione dei centri di detenzione amministrativa in Libia e che la Spagna si comporta allo stesso modo con il Marocco.
La questione della chiusura o del “superamento” dei centri di detenzione amministrativa rimane tuttavia centrale nella definizione delle politiche migratorie di tutti i paesi europei, anche per il diffuso convincimento, non del tutto fondato, che queste strutture sarebbero imposte dagli accordi di Schengen.

La relazione De Mistura riferisce solo alcuni degli abusi verificati nel corso degli anni all’interno del sistema della detenzione amministrativa e propone il “superamento” dei CPTA, attraverso il loro svuotamento, puntando sulla differenziazione delle diverse categorie di trattenuti, e sul nuovo istituto del rimpatrio consensuale. Si propone poi il trasferimento di molte competenze decisionali sui provvedimenti di allontanamento e di trattenimento alla magistratura ordinaria, riducendo i poteri degli organi di polizia ed abbandonando finalmente l’escamotage delle convalide, spesso puramente formali, emesse dai giudici di pace sotto la pressione delle autorità amministrative. Si cerca in questo modo di ritornare al disposto dell’art. 13 della Costituzione, nel rispetto delle decisioni della Corte Costituzionale n. 222 e 224 del 2004, disattese dai successivi provvedimenti legislativi approvati nel corso del governo Berlusconi.

La stessa relazione appare però deludente se si considera che tra i compiti della Commissione rientrava pure “ una indagine conoscitiva sulle condizioni di sicurezza e di vivibilità” dei CPT al fine di verificare se queste strutture garantivano “ la tutela della dignità della persona e dei diritti fondamentali”. Le indagini saranno state certamente svolte, ma dalla relazione finale sembrano cancellate con un tratto di penna tutte le frasi che potrebbero individuare responsabilità precise.
Anche alla luce delle documentate denunce presentate dalle ONG indipendenti nel corso delle numerose audizioni con la Commissione si attendeva la proposta di una immediata proposta di chiusura dei CPT di Trapani, di Ragusa e di Torino, dove erano state riscontrate, anche dalla Commissione, situazioni assai critiche. E invece la relazione contiene solo il riferimento a specifici suggerimenti che la Commissione avrebbe rivolto dopo le visite effettuate in questi CPT alle Questure competenti per consigliare quei mutamenti che risultavano possibili senza mutare la denominazione ( e la natura) delle strutture.
Troppo poco, in assenza di effettivi controlli successivi, e per il permanere di una cultura tendente a occultare anche i fatti più evidenti avvenuti nei CPT, come si può desumere dalla scarsa collaborazione di Prefetti e Questori nel trasmettere alla Commissione ministeriale i dati richiesti. E quanto tempo passerà ancora prima che le proposte della Commissione si traducano in disposizioni di legge vincolanti per l’autorità amministrativa ?
Il rischio concreto è che l’intento di trovare un accordo su proposte generalmente condivise all’interno della Commissione, nell’ottica di un mero superamento degli attuali CPT, possa comportare un colpo di spugna sulle gravi responsabilità delle autorità amministrative e degli enti di gestione, responsabilità denunciate dalla stampa e accertate anche da organismi umanitari come Human Rights Watch, che costrinsero il precedente governo alla chiusura del centro di detenzione amministrativa in contrada San Benedetto ad Agrigento e portarono alla condanna definitiva di Don Cesare Lo Deserto per le violenze commesse sugli immigrati all‘interno del CPT Regina Pacis di Lecce.

Entrando nel merito di alcuni punti della Relazione della Commissione De Mistura, sorprende come, dopo la rilevazione della mancata collaborazione di Prefetti e Questori nella trasmissione dei dati richiesti, non vi sia stata la richiesta di provvedimenti disciplinari, come se fosse normale che i dati relativi alle espulsioni ed ai trattenimenti fossero destinati a rimanere per sempre negli armadi degli uffici di polizia. Ci penserà il Ministro Amato a fare un poco di ordine nella sua amministrazione? Eppure già nel 2004 la Corte dei Conti rilevava la mancata risposte delle amministrazioni competenti alla richiesta di chiarimenti sul sistema dei centri di detenzione amministrativa.

La relazione richiama il numero dei migranti salvati nelle acque del canale di Sicilia dalle unità navali italiane, ma non spende neppure una riga sulle centinaia di morti e dispersi delle tante stragi dell’immigrazione clandestina. Una clandestinità imposta assai spesso da leggi e prassi amministrative che hanno ristretto le possibilità effettive di ingresso legale. Neanche una riga sugli accordi di riammissione che costituiscono da sempre un elemento complementare della detenzione amministrativa nel contrasto all’immigrazione clandestina. Eppure sono proprio gli accordi di riammissione, che non garantiscono effettivamente i diritti fondamentali dei migranti irregolari, a rendere sempre più drammatica la condizione di quanti sono trattenuti all’interno dei centri di detenzione amministrativa, in particolare dei richiedenti asilo, che possono essere visitati, interrogati e minacciati dai funzionari consolari dei paesi di appartenenza.

La Commissione De Mistura propone il “superamento” dei CPT attraverso il loro “svuotamento”, con la uscita di tutti coloro per i quali non ricorre “ la necessità o l’utilità del trattenimento”, con forme diverse di regolarizzazione individuale per le categorie più deboli,come le vittime della tratta o del racket del lavoro nero, e con ipotesi di rimpatrio consensuale, riproponendo la detenzione amministrativa per gli “irriducibili” che non collaborano alla loro identificazione. Ma non si ricordano le difficili condizioni subite da molte donne trattenute nei CPT , private del diritto ad accedere ai benefici dell’art.18, quando non “collaboravano” abbastanza con la polizia.

Non ci si può soffermare solo sulla prospettiva del rimpatrio consensuale senza ricordare e sanzionare i numerosi casi di immigrati vittima del racket, espulsi con accompagnamento immediato senza potere neppure recuperare i loro miseri effetti personali e quanto guadagnato in condizioni di estremo sfruttamento.
Per riconquistare la fiducia dei migranti, per rendere effettive le condizioni di un rimpatrio consensuale, occorrerà mutare la mentalità che domina negli uffici stranieri delle Questure, riconoscere maggiormente il ruolo delle associazioni umanitarie e degli enti locali, trasferire le competenze sui permessi di soggiorno ai Comuni, formare nei diversi uffici professionalità non pregiudicate dalla necessità di fornire numeri sempre più elevati di immigrati espulsi o respinti. In una parola, occorrerebbe battere il diffuso razzismo istituzionale.

Se si sono poste alcune premesse per superare le gravissime violazioni costituzionali derivanti dall’avere affidato all’autorità amministrativa competenze decisionali sulla libertà personale degli immigrati sottratte al controllo della magistratura, se la proposta di chiusura dei Centri di identificazione (chiusi) per richiedenti asilo, imposta peraltro dalla direttiva comunitaria 2003/9, potrebbe garantire un maggiore rispetto dei diritti dei richiedenti asilo, sempre che i nuovi Centri di prima accoglienza ( sulla carta aperti ) non siano ancora sottratti al controllo giurisdizionale, rimane una forte preoccupazione che le misure legislative proposte dalla Commissione, anche se si tradurranno in legge, consentano ai Questori ed ai Prefetti, proprio in materia di libertà personale degli immigrati, un esercizio della discrezionalità amministrativa ancora troppo ampio, al punto da sfociare nell’arbitrio e nella irregolarità. Da questo punto di vista, appare ancora debole nella sua formulazione la proposta, assolutamente da condividere, di abolire il cd. respingimento differito adottato dal Questore, istituto che in passato, soprattutto in Sicilia ed in Puglia, ha consentito gli abusi più gravi , come le espulsioni collettive, e la negazione sostanziale del diritto di asilo. Anche in questo caso manca qualunque riferimento alle gravi responsabilità istituzionali della catena di comando che ha deciso e poi eseguito nel 2004 e nel 2005 le espulsioni collettive verso la Libia. Forse l’ennesimo prezzo pagato alla componente ministeriale della Commissione per ottenere un minimo consenso sulle proposte tendenti ad un “superamento” dei CPT.

Anche i rilievi critici proposti dalla Relazione sui minori non accompagnati, se non fossero seguiti da un mutamento delle prassi amministrative, oltre che della normativa, non costituirebbero un miglioramento rispetto alla situazione attuale che incentiva oggettivamente alla dispersione ed alla clandestinità, situazione che la Commissione ha segnalato, ma di cui tace i responsabili, da individuare tra coloro che ritardano le procedure di identificazione dei minori, omettono di trasmettere gli atti relativi ai tribunali minorili, contrastano l’apertura delle tutele, ritenute istituto troppo favorevole quando il minore raggiunge la maggiore età. In questo caso solo la presenza di un tutore può garantire la possibilità di convertire il permesso di soggiorno senza rischiare di essere espulso al compimento del diciottesimo anno, come in questi anni è successo di frequente.
Appare assai importante la proposta della Commissione De Mistura volta a garantire l’accesso nei CPT ad associazioni diverse dagli enti gestori, anche senza convenzioni onerose con le Prefetture, in modo da distinguere il vero volontariato dalle scelte di mercato di tante associazioni che nella detenzione amministrativa hanno trovato un business assai proficuo. Grazie alle gare a “licitazione privata” gestite dalle Prefetture con poche associazioni “amiche” si è prodotto uno sperpero di milioni di euro sul quale neppure la Commissione De Mistura è riuscita a fare luce. Speriamo che almeno la Corte dei Conti riesca nelle prossime relazioni annuali a fare luce su questo intricato groviglio di interessi.

Dalle conclusioni della Commissione, sostanzialmente concidenti con quanto anticipato in parlamento, alcuni mesi fa, dal ministro Amato, e adesso già recepite dal progetto di legge Livi Bacci, emerge come il “superamento” dei CPT non potrà che arrivare all’interno di una modifica profonda della normativa in materia di immigrazione ed asilo, con una diversa formulazione degli accordi di riammissione. Ma non si potrà certo aspettare che questo governo, con le contraddizioni che porta al suo interno, esplose adesso sulla vicenda della base americana di Vicenza, vada oltre il programma elettorale e realizzi la chiusura dei CPT. Sono a tutti note le dichiarazioni di Rutelli e di Amato favorevoli al mantenimento dei centri di permanenza temporanea, seppure per un numero più limitato di immigrati. Ed è a tutti evidente che la debolezza parlamentare del governo, soprattutto al Senato, stia consigliando gli strumenti della legge delega e del decreto legge per intervenire in materia di immigrazione ed asilo, al di là della mera attuazione delle Direttive Comunitarie, sulle quali il governo Berlusconi era stato censurato anche a livello europeo per i ritardi e le inadempienze. Ma anche lo strumento della delega presenta gravi rischi perchè - come insegna l’esperienza del passato- permette alle burocrazie ministeriali di definire le parti più importanti della disciplina. E questo potrebbe avvenire, immaginiamo con quali risultati, anche a proposito della detenzione amministrativa. Tutto potrebbe cambiare, senza che nulla cambi.

I CPT potranno essere chiusi soltanto da un forte movimento antirazzista, composto da italiani e da immigrati, che imponga tempi e contenuti delle modifiche legislative e contrasti giorno per giorno, luogo per luogo, le prassi amministrative che violano i diritti fondamentali della persona. Come è successo in Sicilia nel 2000, a Termini Imerese, vicino Palermo, e poi a Trapani, in diverse occasioni, dopo la strage del Vulpitta, e poi ancora ad Agrigento, con la chiusura definitiva nel 2004. E lo stesso era avvenuto in precedenza in via Corelli a Milano e in via Brunelleschi a Torino. Solo se ci sarà una pressione continua da parte dei movimenti antirazzisti, con un coordinamento anche a livello europeo, solo se si supereranno divisioni e sterili protagonismi, sarà possibile chiudere definitivamente la pagina nera dei centri di permanenza temporanea. In Italia ed in Europa, senza stare ad attendere che dall’alto venga calata una riforma che corrisponda pienamente alle attese di quanti si battono contro le varie forme, in continua mutazione, di detenzione amministrativa.

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